Astrofisica, Relatività

Cos’è un Buco Nero? perchè li studiamo?

Visto che questo è il mio Annus Mirabilis la mia curiosità questa volta è caduta su di uno dei fenomeni più affascinanti spiegabili fino in fondo (o quasi) solo dal lavoro di Einstein e cioè i Buchi Neri. Esistono ovviamente migliaia o forse milioni di pagine che rispondono a questa curiosità, ma visto che questo è un blog e cioè un diario, riporto qua quale sia la mia risposta alla domanda: Cos’è un Buco Nero? perchè li studiamo?.

I Buchi Neri saltano fuori dal fatto che la gravità modifica la traiettoria di un onda luminosa attraverso lo spazio. La teoria newtoniana non tratta degli effetti della gravità sulla luce, ma è possibile usare le intuizioni newtoniane per capire quale sorta di interazioni possono esserci. La propagazione della luca è governata dalla sua velocità ‘c’, quindi cercheremo di capire quale sia la sua velocità nella gravità newtoniana.  Una delle cose ovvie è la velocità di fuga che un corpo deve raggiungere per sfuggire da un corpo di massa M e raggio R. Quindi ci aspettiamo anche che la luce emessa da un corpo non riuscirà a sfuggire da questo corpo quando la velocità di fuga è maggiore di ‘c’, questo succede solo quando la densità del corpo avrà un valore approssimativamente dato da M/R3.

Prima della scoperta nel XX secolo delle nane bianche e dopo delle stelle di neutroni, il materiale più denso conosciuto era qualcosa di simile al piombo. La massa dell’oggetto più piccolo con densità normale di circa 5000 kg/m3 che può trattenere dalla fuga la luce è davvero molto maggiore rispetto a qualsiasi stella conosciuta e probabilmente anche ipotizzabile. Questi oggetti inoltre dovrebbero essere invisibili e come di solito li chiamiamo, dovrebbero essere dei Buchi Neri. Queste ipotesi fatte con le conoscenze della teoria newtoniana erano ben conosciute a Mitchell e a Laplace, che sono stati i primi a fare studi dettagliati su problemi di “dinamica a più corpi” (many-bodies problems) nel sistema solare.

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Nucleo Galattico Attivo – Credit: NASA

Nel tempo due eventi hanno cambiato queste conclusioni. La prima è stata la definizione della teoria della relatività generale di Einstein, nella quale il comportamento della luce sotto l’influenza della gravità è tratta in modo preciso. La seconda è stata la scoperta che la materia può avere una densità tra 109 e 1017 kg/m3 sotto forma di nane bianche e stelle di neutroni. L’esistenza di corpi con densità di questo tipo suggerisce inoltre che esistano buchi neri di massa stellare. Possiamo aggiungere anche un altra classe di oggetti astronomici, i nuclei galattici attivi (AGN), i quali hanno un oggetto centrale con densità non esterma e massa dell’ordine di 108 masse solari. La combinazione delle condizioni di massa e densità presenti al centro degli AGN li rendono dei condidati ideali a contenere dei Buchi Neri.

Per definizione, nella teoria relativistica della gravità, la velocità locale della luce è sempre pari a ‘c’, cioè la velocità della luce nel vuoto in assenza di gravità. Newton dice che la luce emessa viene rallentata e richiamata dalla gravità del corpo che l’ha emessa, ma ovviamente questo non è ciò che succede. Possiamo però ottenere lo scenario corretto utilizzando il principio di equivalenza. La presenza di un campo gravitazionale introduce una accelerazione tra sistemi di riferimento in caduta libera. Il principio di equivalenza poi comporta una relazione tra gli intervalli di tempo misurati sul corpo emittente e quelli corrispondenti misurati per estremo all’infinito o comunque lontano dal corpo. Questo ci dice che un orologio posizionato sul corpo emittente viaggerà più lentamente rispetto ad uno posizionato all’infinito su di un fotone in allontanamento. Questo corrisponde ad uno spostamento verso il rosso ‘z’ (redshift) della luce emessa ad una data frequenza e ricevuta ad un frequenza diversa dovuta appunto a questo differente “scorrere” del tempo. Questo suggerisce che se immaginiamo ‘z’ tendenti all’infinito, il potenziale gravitazionale tenderà a pareggiare la velocità di fuga con ‘c’, provocando un redshift della luce che la renderebbe invisibile mettendoci di fronte ad un corpo che chiameremo Buco Nero. Per descrivere questi scenari abbiamo bisogno però di una teoria della gravitazione completa perchè la teoria newtoniana è valida solo per velocità molto più piccole di ‘c’. Questo è stato possibile grazie alla sostituzione o integrazione della teoria newtoniana con quella di einsteiniana.

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Buco Nero: notare come sia visualizzato in l’Orizzonte degli Eventi (computer image taken from a Rossi X-ray Timing Explorer observation NASA)

La teoria di Einstein non cambia la relazione tra massa e densità, tranne per il fatto che la densità deve essere interpretata come una densità media al bordo di un buco nero (non rotante). Questo non altera lo scenario dello spazio-tempo e della gravitazione di questi corpi. Un buco nero relativistico non ha materiale sulla sua “superfice”, tutta la materia è collassatto in una singolarità circondata da un confine sferico chiamato orizzonte degli eventi. L’orizzonte degli eventi è una superficie mono-direzionale: le particelle di luce posso solo entrare nel buco nero ma niente può scapparne dalle vicinanze del buco nero. Un fotone in uscita generato fuori dall’orizzonte degli eventi può scappare verso l’universo esterno ma soffrirà del fenomeno di redshift: Newton direbbe che perde energia sotto forma di lavoro contrastando il potenziale gravitazionale. Più il punto di emissione è vicino all’orizzonte degli eventi e più l’effetto di redshift sarà marcato. In altri termini un fotone o una particella emessa dall’interno dell’orizzonte degli eventi in qualsiasi direzione deve inevitabilmente incontrare la singolarità e da essa esserne annichilata (distrutta). Questo in realtà è del tutto vero solo per il caso più semplice di buco nero, in tutti gli altri casi il destino di una particella è molto più complicato. Un altra cosa interessante è che un fotone emesso in corrispondenza dell’orizzonte degli eventi verso il osservatore esterno appare in eterno fermo ed immutabile, per questa ragione è possibile pensare l’orizzonte come costituito da fotoni da esso emessi ed eternamente in procinto di scappare dal buco nero.

A questo punto quelli di noi più pragmatici si chiederanno perchè studiamo di Buchi Neri? la risposta è semplice. L’importanza dei buchi neri nello studio della fisica della gravità è data dal fatto che sono un perfetto campo di test per conoscere i campi gravitazionali più intensi e comprendere meglio alcuni scenari particolari dell’evoluzione stellare. Le attuali teorie mostrano che i buchi neri sono una conseguenza inevitabile dell’evoluzione delle stelle massive: ci aspettiamo di ritrovarli nella nostra Galassia ed il fatto di averli trovati supporta questo scenario evolutivo previsto dall’astrofisica.

C’è poi una sorprendente e inattesa ragione perchè i buchi neri sono considerati importanti e cioè il loro ruolo centrale nella ricerca di una connessione tra la meccanica quantistica e la gravità. E’ possibile vedere come i buchi neri soddisfino le leggi della termodinamica, ponendo Mc2 nel ruolo di energia interna, l’accelerazione di gravità come temperatura e l’area del buco nero nel ruolo dell’entropia. Questa però è qualcosa di più di una analogia. Quando introduciamo la meccanica quantistica nello scenario vediamo infatti che i buchi neri si comportano come degli oggetti reali con temperatura ed entropia diverse da zero: in particolare vediamo che essi irradiano come dei corpi neri. Visto che questo fenomeno di radiazione di corpo nero nasce dal mix di gravità e fisica quantistica possiamo dire che questa connessione ci porta nel territorio della gravità quantistica e quindi verso uno scenario più ampio relativo alla forze fondamentali con la Teoria del Tutto. Questi scenari pioneristici per la fisica sono dominati da un entità fondamentale e cioè le Stringhe la cui comprensione quindi potrebbe essere legata alla comprensione della teoria dei Buchi Neri. Quindi studiare i Buchi Neri potrebbe portarci sempre più vicino alla risposta al problema I delle 5 Frontiere della Fisica Teorica.

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